12 aprile 2007

I no global

Nella storia di questo mondo si sono succedute varie globalizzazioni: allo stato attuale delle nostre conoscenze possiamo attribuire il primato temporale alla globalizzazione attuata dai Sumeri 6.000 anni fa. Popolo molto progredito (dobbiamo ad esso la realizzazione del primo alfabeto, la scoperta di formule algebriche, nozioni di teoria economica, il sistema sessagesimale nella divisione del giorno – 24 ore, ore di sessanta minuti, minuti di 60 secondi – la concezione del dio come trinità, ecc.) portò la sua cultura, invadendo dal Nord della Mesopotamia il territorio dell’attuale Siria e della Palestina, sino al Mediterraneo e all’Africa del Nord. Lo fece con il commercio e lo fece con le armi. Risale dunque a 6.000 anni fa anche la nascita dei no global e cioè di coloro che per motivi diversi ritennero giusto e necessario difendere il proprio territorio e la propria identità camitica o semitica.
Il movimento dei no global ha dunque origini molto più antiche di quelle della civiltà babilonese, greca, egizia, araba, romana, ebraica, cristiana.
Era giusto appoggiare nelle varie globalizzazioni che si sono succedute nel tempo i no global o accettare la globalizzazione? Una risposta semplice non è facile. Anche nel caso più eclatante e cioè nel caso della globalizzazione che portò alla conquista delle Americhe da parte di spagnoli, inglesi, irlandesi e che significò lo sterminio degli indios, ma anche di popoli molto più progrediti come gli Incas non possiamo non vedere, accanto a crimini contro l’umanità (non solo le stragi compiute ma lo schiavismo che durò di fatto negli Stati Uniti oltre il 1900) l’affermazione di princìpi di democrazia e atti di cui dobbiamo essere loro grati e che culminarono nella entrata in guerra a difesa dell’Europa contro il nazismo e il fascismo.
Esiste d’altra parte un fatto oggettivo: la globalizzazione della conoscenza è oggi con internet un processo inarrestabile ed è evidente che vince chi ha più conoscenza di altri (anche se il furto e l’importazione della conoscenza finiscono per porre problemi e costi allo stesso globalizzatore).
Ma è proprio il punto decisivo della globalizzazione della conoscenza che rinvia oggi al discorso sulle due facce della globalizzazione dato che alla sua faccia positiva di diffusione di scoperte scientifiche e tecniche, si accompagna un processo consapevole o inconsapevole di diffusione-accettazione della ideologia nella quale sono maturate le scoperte e questa ideologia è oggi quella postfordista americana della “fine della storia”, del capitalismo come modo di produzione unico e definitivo, dell’impresa industriale e/o finanziaria come centro cui far riferimento, della trasformazione del cittadino in mero consumatore e subordinato “cliente”.
Se a tutto ciò si aggiungono la violenza, gli eccidi, la minaccia nucleare il quadro del modo in cui la globalizazione si sta attuando non può dal punto di vista etico presentarsi che come fortemente negativo.
E allora?
Allora bisogna guardarsi intorno e accorgersi che anche grazie alla diffusione della conoscenza e alla lotta contro una globalizzazione violenta e governata da un solo impero, il mondo ha cessato, già da vari anni, di essere unilaterale e sta entrando nella fase della multilateralità. Il mondo non è più solo il mondo degli Stati Uniti, ma si avvia a diventare anche il mondo dell’Unione europea, della Cina, del Giappone, della Russia e dell’area araba. Il dollaro del paese più indebitato al mondo trova sempre meno creditori disposti a sostenerlo e sollecita, pena una crisi drammatica, decisioni e scelte nuove e una circolazione delle conoscenze rispettosa di tutte le facce della identità della persona umana. Compresa la faccia del territorio e della cultura in cui si è nati e ci si è formati, dello Stato cui quel territorio appartiene, della Unione cui quello Stato è legato.
Quanto più gli oppositori dell’attuale globalizzazione lotteranno per far diventare realtà questa utopia e aggiungeranno un loro deciso “si” alla lotta contro la violenza e le guerre tanto più potremo e dovremo essere loro grati per le iniziative e le invenzioni con cui attirano la nostra attenzione sui pericoli della globalizzazione statunitense e dello stagnante moderatismo o resa cui partiti della sinistra si stanno indirizzando invece di avanzare proposte all’altezza dei mutamenti geopolitici ed economici che si profilano.

8 aprile 2007

Legge Elettorale

Continua la battaglia sulla legge elettorale. Ogni partito , grande o piccolo ha la sua proposta e la difende accanitamente. La cosa incredibile è che nessuna proposta, di destra o di sinistra indica una soluzione per il problema che interessa tutti gli elettori: votare, sia pure nei confini di una lista, per il candidato che preferisce. Sul no a questo diritto c’è l’unanimità di tutti i partiti o meglio di tutte le burocrazie che hanno distrutto i partiti e che direttamente o indirettamente (parlamento, regioni, province, comuni, cooperative, aziende, sindacati) ricevono uno stipendio dagli autonominati segretari o presidenti dei partiti. Non voglio dire che non ci siano limitate eccezioni cui va reso merito. Ma la sostanza del quadro politico non cambia.
Sono i segretari a decidere chi deve essere eletto e chi no e il risultato si vede: aggravamento della crisi degli stessi partiti e crisi del primato della politica. Perfino a sinistra c’è qualche parlamentare che crede, con Montezemolo, che le leggi n0on le faccia il Parlamento ma le faccia e le debba fare il mercato, divenuto il mercato dei monopoli e degli inciuci noti e non noti e che alla politica spetti solo il ruolo di sostenere la crescita di quei monopoli o di quei patti di sindacato di cui sono vittima i piccoli azionisti insieme agli operai e i tecnici. Qualcuno ha detto che ormai il mercato italiano è un suq; io direi che è molto peggio di un suq perché nei mercati arabi c’è concorrenza e da noi non c’è neppure quella.
Ci troviamo di fronte non solo ad una crisi politica ma ad una crisi etica. E da questa crisi si può uscire solo restituendo ai cittadini il diritto di votare per la persona che ritengono meritevole, onesta e portatrice di proposte valide per bloccare la controriforma in atto e passare ad una seria riforma volta a far applicare tutti i punti della Costituzione italiana. Ho personale stima di Vannino Chiti. Lo scongiuro di tener conto di questa esigenza e di ricordare che senza un forcing sulla socializzazione della politica a partire dal basso, l’Italia non uscirà dalla crisi profonda di idee e di ideali, dalla polverizzazione della società, cui ci ha portato il “pensiero unico” della globalizzazione americana.